Mantova è così piena d’acqua, che quando mi è stato chiesto di collaborare ad una ricerca sulle città e il loro rapporto col fiume mi è quasi preso il panico. Poi lo scorso 20 agosto con Giorgio Osti e Francesco Galli abbiamo costeggiato una piccola parte di quelle vie d’acqua che circondano Mantova e ne costellano le campagne circostanti, e l’emergere dei primi conflitti dalle parole di chi quell’acqua la vive, vi ha acceso e voglia di approfondire.

Si fatica a dire che Mantova è “attraversata da un fiume”, che poi sarebbe il Mincio, emissario del Lago di Garda a Peschiera e affluente del Po a Governolo, perché quelli che si snodano su tre lati della città sono veri e propri laghi. Questi laghi artificiali, prodotti dall’opera di ingegneria idraulica di Alberto Pitentito nel XII sec, oltre a definire lo skyline di Mantova come lo conosciamo oggi, hanno determinato la creazione di tutta l’area umida e di palude a nord di Mantova che costituisce oggi parte integrante del Parco del Mincio, Ente Regionale preposto alla conservazione del paesaggio e della ricchezza di biodiversità di una delle aree protette più estese e importanti d’Italia.

È stato proprio a nord di Mantova, nella frazione di Rivalta sul Mincio (comune di Rodigo), dove è iniziato il nostro viaggio trasversale a due ricerche, una sul rapporto della città di Mantova col fiume e l’altra sul volontariato fluviale. L’incontro con l’Associazione Pro Loco “Amici di Rivalta”, ente senza scopo di lucro focalizzato su ecoturismo e promozione ambientale, ha infatti permesso di avvicinarci a temi di estrema rilevanza per entrambe le ricerche, facendo emergere conflitti e contraddizioni nella gestione dell’acqua del Mincio, da Peschiera fino a Mantova.

Se da un lato, infatti, lo scrigno di biodiversità dell’Area Protetta delle Valli del Mincio – tutta l’area che da Rivalta si estende fino ai laghi di Mantova – rappresenta un patrimonio naturalistico e ambientale di valore internazionale e la zona umida interna più vasta d’Italia; dall’altro l’economia mantovana si basa storicamente su una priorità: l’agricoltura, che se è così florida e produttiva in queste zone, lo deve proprio alla ricchezza di questo suolo e all’abbondanza di acqua.

Ecco allora che emergono i primi tratti di un conflitto silenzioso, tra chi vorrebbe continuare ad usare l’acqua “liberamente” per sostenere l’attività più tradizionalmente distintiva della società mantovana, allevamento e agricoltura – fonte originaria della fortuna degli stessi Gonzaga, che proprio grazie alla fecondità di queste terre furono in grado di far emergere Mantova sullo scenario internazionale; e chi, dall’altra parte, vorrebbe conservarne il valore “naturale”, ecologico e paesaggistico senza compromessi, senza dover più giustificare la torbidità dell’acqua del Mincio, così limpida all’uscita dal Garda, così fangosa più ci si avvicina a Mantova. Torbidità che aumenta ad ogni immissione di canale o ruscello lungo il suo percorso, come l’Osone e il Diversivo, che sembrano essere collettori di tutti i ‘peccati’ dell’uomo, dallo sversamento degli anticrittogamici fino agli anni 2000 che provocarono la quasi totale scomparsa delle piante acquatiche, fino allo scarico diretto e incontrollato delle acque di scolo degli allevamenti.

I progetti sembrano esserci per ripristinare l’equilibrio e preservare il valore dell’acqua (sulla volontà, invece, si dovrà ancora indagare). A giudicare dalla varietà di proposte presentate sul sito del Parco del Mincio, quest’area sembra essere curata, protetta e studiata come pochi altri ecosistemi – ed effettivamente a seguito dell’inquinamento da anticrittogamici, si è cercato e si sta cercando ancora di ripristinare il canneto originale, riconosciuto come il miglior fitodepuratore naturale “in commercio”. È significativo anche il fatto che dopo molto tempo, per due anni di seguito il Lago Superiore abbia superato i test sulla qualità delle acque per potersi avviare ad un processo che ne dovrebbe ripristinare entro tre anni la balneabilità, vietata finora a causa delle concentrazioni di enterococchi intestinali e E.coli oltre i limiti di legge – che ci fa sospettare che forse qualche peccato tra il Garda e Mantova venga commesso veramente.

Poi però la narrazione sembra interrompersi – proprio come il flusso del Mincio – al Ponte dei Mulini, quell’opera di ingegneria idraulica che divide il Superiore dal Lago di Mezzo e Inferiore e che ne regola i livelli e la portata. Perché allora, se l’acqua è la stessa che dal Mincio al Lago Superiore fluisce verso gli altri due e poi fino al Po, si parla solo di balneabilità del primo?

Da questa domanda bisognerà ripartire nel prossimo giro di raccolta di testimonianze, per capire se siano fondati i sospetti che il SIN (Sito di Interesse Nazionale “Laghi di Mantova e Polo Chimico”) abbia un ruolo importante nel determinare i rapporti della città con le proprie acque. Aver percepito il ruolo di frontiera, fisica e mentale, del Ponte dei Mulini è sicura. 

Caterina Bracchi, PhD student Università Cattolica di Brescia 

Mantova 20.8.2020