La tutela della biodiversità è posta al centro dell’agenda politica di istituzioni europee e nazionali. Essa rappresenta un baluardo a difesa delle specie viventi, delle comunità umane e del benessere delle future generazioni.
La biodiversità risulta impoverita sia in contesti molto urbanizzati che in aree rurali in via di abbandono. L’azione umana è segnata da ambiguità e ignoranza rispetto ai valori della biodiversità.
Da questo nasce il titolo del convegno: biodiversità nascosta di cui svelare gli assunti culturali, usi commerciali sostenibili, il suo valore per la socialità.
Il convegno, organizzato attraverso un call for cases nazionale, ha raccolto decine di esperienze virtuose che segnalano la fecondità del tema biodiversità per le aree fragili.
Smart water non rimanda solo ad un uso intelligente dell’acqua. Riguarda anche la sua distribuzione sociospaziale e una gestione che sia quanto più condivisa possibile. Il convegno, organizzato attraverso un call for cases nazionale, vorrebbe tenere assieme tre dimensioni: expertise, equità territoriale e inclusione politica; compito non facile in un mondo dell’acqua assai conflittuale, piuttosto chiuso, ed ora sollecitato dagli esiti del cambiamento climatico. Insomma un forum interdisciplinare, con un tentativo di inserimento delle scienze sociali, per attuare la tanto decantata gestione integrata dell’acqua.
1) cogliere se effettivamente vi sono dei cambiamenti in Italia, in particolare nelle aree meno favorite, nell’uso del suolo; se non altro cambiamenti che sanciscono tendenze negative (abbandono, dissesto, impoverimento biologico, supersfruttamento di certe risorse ecc. );
2) mettere in luce quali sono le conseguenze più importanti da un punto di vista sociale, politico e ambientale (se ad esempio prevale un abbandono totale o se invece lo spopolamento induce ipersfruttamento di risorse come l’acqua o i boschi);
3) illustrare esperienze emblematiche, sia in senso negativo che positivo, di corsa alla terra nelle aree fragili, con particolare predilezione per le seconde, però.
Il convegno dovrebbe muoversi su un duplice binario: quello di analisi rigorose delle tendenze in atto nella presunta corsa alla terra nelle aree fragili italiane e quello della raccolta di casi esemplari, aventi un alto valore simbolico, in altri termini emblemi di ideali di giustizia. Il convegno non ha solo un taglio scientifico ma anche divulgativo, volendo diffondere temi ed esperienze di grande valore morale.
Di fondo, resta la predilezione per le aree rurali fragili; non sono escluse tendenze e casistiche delle aree metropolitane, ma si privilegiano zone remote, periferiche, poco note, piccole, le quali magari hanno relazioni funzionali con le città.
Tipico il caso dell’uso dell’acqua prelevata da aree deboli e usata per dissetare grandi agglomerati urbani. Fragilità, quindi, non riguarda isolati casi di microdegrado territoriale, ma più spesso condizioni di interscambio fra aree forti e deboli. Corsa alla terra in Africa è proprio questo. Nelle aree rurali italiane le relazioni sui beni fondiari avvengono in maniera molto più articolata, ma non è escluso che essenzialmente si tratti di un land grabbing trasposto: qui mantengo usi soft dei terreni, mentre le funzioni pesanti di produzione di cibo vengono svolte altrove.
Il tema della giustizia ambientale ha due declinazioni di base: una, storica, riguarda le aree residenziali americane dove si scopriva l’esistenza di inquinanti particolarmente dannosi per quella popolazione; da lì partiva allora un movimento di protesta per la giustizia ambientale, ossia la richiesta di un risarcimento, la rimozione della fonte inquinante, il processo per i responsabili del danno; una declinazione, più recente – diremo, terzomondista – che vede nella sottrazione di preziose risorse ambientali da contesti abitati da gruppi etnici marginali una palese violazione dei diritti umani;
da ciò scaturiscono movimenti di protesta nazionali e internazionali di varia fortuna. In certi casi come in America Latina tali questioni entrano nel dibattito politico e possono condizionare l’elezione dei leader nazionali.
In altri, come nel sud est asiatico o in Africa gran parte della protesta è lasciata alle Ong e ai loro mezzi di denuncia presso l’opinione pubblica occidentale.
All’interno dell’Europa e ancor più in Italia il movimento per la giustizia ambientale non ha avuto mai una grande presa, probabilmente per una ragione strutturale.
La forte densità degli insediamenti umani e industriali nonché le forti interrelazioni fra le singole aree hanno reso difficile trovare una netta linea di demarcazione fra svantaggiati e avvantaggiati. Il danno ambientale esiste, ma solitamente è così puntuale o così diffuso, da non creare fratture sociali, come invece avviene in altre parti del mondo.
In realtà vi sono anche in Italia e il fatto che non vengano alla luce è probabilmente un indicatore di fragilità territoriale e politica.
Nei piccoli comuni italiani, anche quelli piccolissimi, la presenza di stranieri è solo di poco inferiore a quella rilevabile nella media nazionale. In altre parole, l’immigrazione di stranieri nel nostro paese non è un fenomeno urbano, ma si distribuisce abbastanza equamente fra città e campagna. Anche il trend di crescita è del tutto simile. Certamente, sono dati medi che nascondono picchi e quasi totale assenza del fenomeno in alcune aree del Sud. Se però si dimostrasse che la varietà interna all’universo dei piccoli comuni italiani è maggiore di quella che si riscontra nelle aree urbane, allora avremmo un ulteriore motivo per studiare le presenze degli stranieri in Italia.
Ciò significherebbe che il cambiamento è più sbilanciato nelle aree rurali, portando con sé inevitabilmente maggiori problemi laddove ci sono le maggiori concentrazioni. L’idea, presa dall’ecologia umana, è che un’elevata concentrazione di un gruppo sociale in un ambiente meno vario provochi maggiori squilibri. Se in un paesino di montagna vi è una forte presenza di stranieri con al seguito famiglie e figli è possibile che i servizi ne risentano maggiormente. Attenzione non stiamo dando giudizi pro o contro la concentrazione di stranieri!
Piuttosto cerchiamo di mettere a fuoco le tante sfaccettature del fenomeno. In taluni casi, è possibile che questo effetto (alta concentrazione) sia voluto dalle autorità locali, che pensano che solo con una massiccia immigrazione sia possibile salvare una comunità locale dalla sparizione. In altri casi, l’arrivo di tanti stranieri sarà più controverso, ma con esiti imprevisti. In altri casi ancora, vi sarà la classica reazione di ripulsa, certamente poco motivata, ma densa di conseguenze negative.
Le statistiche non riescono ancora a registrare il movimento di persone verso le aree fragili; si tratta di stranieri che lavorano nelle stalle e nelle raccolte stagionali; si tratta sempre di stranieri che riempiono le case lasciate dagli emigrati del passato; si tratta di qualche coppia che sogna di vivere in maniera alternativa; molte sono anche le assistenti familiari che accudiscono una popolazione autoctona sempre più vecchia e debilitata.
Vi è infine qualche ritorno di ex-migranti. Il convegno vuole raccogliere una prima lista di casi presenti nelle più varie situazioni geografiche dell’Italia, dalle Alpi, alla pianura padana, al crinale appenninico fino alle piane del sud. Si tratta di contare queste presenze, capirne meglio le dinamiche (soprattutto la natalità), sostenere le associazioni che si stanno mobilitando, vedere quali potrebbero essere le politiche più adatte. Il rischio infatti è che si presti attenzione alla sola concentrazione urbano-industriale degli stranieri, trascurando importanti movimenti verso le aree più remote e meno servite del paese.