EMIRI – Economia Morale degli Invasi e delle loro Reti Idriche

EMIRI – Economia Morale degli Invasi e delle loro Reti Idriche

Parte una nuova ricerca che ricalca grosso modo il percorso di ‘Fiumi e città. Un amore a distanza‘: federazione di gruppi di ricerca locale che condivono finalità, linee guida e ambito di indagine. L’obiettivo è cogliere ideali, convincimenti e pratiche relative all’uso di bacini artificiali e delle loro reti a monte e a valle. Il framework parte dall’economia morale, che ha un impianto prevalentemente culturale e cognitivo, per integrarla poi con variabili di tipo territoriale e organizzativo. Si comincerà con grandi dighe italiane per poi allargarsi alla loro storia e alla loro gestione, non solo interna, ma relativa anche ai fiumi o canali di adduzione a monte e alle reti di distribuzione a valle.

San Felice debella il morbo della malaria (fonte: https://www.iluoghidelsilenzio.it/abbazia-di-san-felice-e-mauro-castel-san-felice/)

San Felice debella il morbo della malaria (Abbazia dei Santi Felice e Mauro – Santa Anatolia di Narco (PG)

Diversi invasi sono stati concepiti in parallelo alla bonifica di terreni paludiosi. Una tendenza plurisecolare ora ad un punto di svolta a causa del cambiamento climatico


Le ragioni della ricerca

Cambiamento climatico, impostazioni idroesigenti di agricoltura e industria, cattiva gestione degli impianti stanno producendo crisi idriche, rispetto alle quali le soluzioni sono contestate, molto costose per le casse pubbliche e affette da lock-ins. Servono quindi informazioni sul contesto sociale in cui operano queste infrastrutture idriche, integrando schemi e modelli delle scienze idrauliche e ingegneristiche

I casi di studio

Saranno 5-6, concentrati soprattutto nel Sud Italia. Il fulcro sarà un invaso, ma poi si dovrà considerare l’intero bacino su cui grava. La metodologia di ricerca sarà scelta da ciascun gruppo di lavoro. I riferimenti metodologici di un’economia morale dell’acqua sono l’analisi dei valori e delle azioni che hanno portato alla costruzione dell’invaso, prima, e alla sua gestione, poi. In tal senso la sociologia storica, l’analisi storico-comparativa, lo studio di caso saranno i principali riferimenti.

Le ipotesi di ricerca

1) dighe e relativi schemi irrigui e impianti idroelettrici sono forme di colonialismo delle aree rurali periferiche o interne; 2) dighe e sistemi irrigui come «economia morale del riscatto» del Sud assetato e bistrattato da potentati interni ed esterni; 3) L’economia morale di invasi e relative reti idriche è fondata su un sapere ingegneristico, focalizzato sulle singole «opere infrastrutturali» e poco sulle loro interazioni con l’ambiente fisico e sociale  


La ricerca verrà presentata al XV Convegno di Sociologia dell’Ambiente (8 – 10 settembre 2025, Università degli Studi di TorinoDeep Transition? Guerre, conflitti e trasformazioni socio-ecologiche). Qui sotto il titolo e l’abstract approvato che sviluppa le ipotesi di ricerca di cui sopra:

Tre ipotesi di ricerca per una transizione idrica ‘dolce’ negli invasi dell’Italia rurale

proponenti: Giorgio Osti, Università di Padova e Nicola Stocco, Università di Padova

Parole chiave: invasi, reti, colonialismo, irrigazione, missione idraulica

La presentazione riguarda un progetto di ricerca denominato EMIRI-Economia Morale degli Invasi e loro Reti Idriche, appena avviata e in cerca di Autori che vogliano federarsi al progetto, individuando un invaso o schema idrico su cui focalizzare la propria indagine. Il frame di fondo è l’economia morale dell’acqua, ricavato dal lavoro di Beresford, et al. (2023). Moral economies for water, WIREs Water, 10(2) e integrato con dimensioni socio-spaziali. A fronte della crisi idrica, dovuta al cambiamento climatico, c’è da capire quali risorse ideali (o morali) siano state mobilitate nella costruzione di invasi artificiali, prima, e di prassi gestionali, dopo. Tre ipotesi di ricerca:

1) dighe e relativi schemi irrigui e impianti idroelettrici sono forme di colonialismo delle aree rurali periferiche o interne; la loro costruzione ha indotto uno sviluppo agricolo idroesigente, lontano dalle tradizioni locali e dalle capacità di sopportazione degli ecosistemi. La funzione idroelettrica, laddove abbinata all’invaso, ha accentuato le pulsioni centralistiche del modello coloniale; Bernal, V. Colonial Moral Economy and the Discipline of Development: The Gezira Scheme and ‘Modern’ Sudan, Cultural Anthropology, 12(4), 1997; Zeynep et al. Development through design, Geoforum, 114, 2020;

2) dighe e sistemi irrigui come «economia morale del riscatto» del Sud assetato e bistrattato da potentati interni ed esterni; diga di Jato come modello. È un’economia morale però che non ha elaborato, legittimato e praticato a posteriori un equo e solido sistema di regolazione dell’acqua, creando un fallimento dello Stato o della governance o ancora del Terzo settore, inteso come forma di autoregolazione della comunità locale; Barbera, F., Rees Jones, I. (2023). The Moral Economy of Failure. Sociologica, 17(3), 129–144.

3) L’economia morale di invasi e relative reti idriche è fondata su un sapere ingegneristico, focalizzato sulle singole «opere infrastrutturali» e poco sulle loro interazioni con l’ambiente fisico e sociale (è nota come hydraulic bureaucracy o hydraulic mission); ciò ha impedito di prevedere e prevenire interrimento, malfunzionamenti, furti d’acqua, mancati collaudi e estraneità dei fruitori locali ai saperi e ai sistemi di gestione idrotecnici; Nabavi Ehsan, Who Speaks for Water in Times of Crisis? A Case for Co-production of Engineering and Governance, Frontiers in Communication, 7, 2022.  

Queste ipotesi rimandano a paradigmi diversi e sono quindi in lieve competizione. La loro composizione o la scelta di una di queste dipenderà dal caso di studio e dalle assiologie di Autrici e Autori. L’idea è di privilegiare il Sud Italia, data la maggiore rilevanza della crisi idrica, ma casi verranno individuati in tutto il territorio nazionale, contrassegnato dalla presenza di oltre 500 grandi dighe. La scala nazionale si presta bene sia perché vi è una regolazione pubblica a quel livello (es. i collaudi) sia perché vi sono tensioni interregionali e intercomunali sulla fruizione dell’acqua degli invasi che mettono a dura prova l’ideale della sussidiarietà idrica.


PrIDe – Pratiche Idriche Democratiche

PrIDe – Pratiche Idriche Democratiche

Proponenti: Tommaso Rimondi, Alessandra Landi e Gabriele Manella dell’Università di Bologna, Giorgio Osti dell’Università di Padova

Per informazioni e proposte, si può scrivere a tommaso.rimondi2@unibo.it o lasciare un messaggio sotto

English Abstract


Dal seminario del 16 maggio 2024 al Campus di Forlì dell’Università di Bologna è nata l’idea di fare una ricerca idrosociale sulle azioni civiche che si sono sviluppate dopo le alluvioni che hanno colpito tutta la Romagna e alcune località dell’Emilia, in primis quartieri di Bologna. Sotto è riportata una bozza di Protocollo di ricerca.

Retroterra della ricerca: a) le acque interne sono fonte essenziale di benessere e bellezza (vedasi foto), cui dare maggiore spazio nei territori per la necessaria salvaguardia, b) la protesta, soprattutto dei tanti comitati può evolvere verso nuove socializzazioni e pratiche idriche oltre la sindrome nimby, c) tali innovazioni idrosociali sono il frutto del coordinamento fra attivismo civico, riformulazione dei modelli di sicurezza idraulica, redistribuzione di risorse mobili (fondi) e immobili, a partire da terreni cosiddetti esondabili.

Per queste ragioni si pensa che il perno della ricerca debbano essere delle comunità di pratiche idriche nelle quali vi sia una certa democrazia intesa come tendenziale pari dignità di saperi, ruoli e prestigio istituzionale di chi partecipa. Inoltre, l’accento sulle pratiche indirizza la ricerca su ‘blocchi’ relativamente coerenti di azioni, ambienti, norme, “canovacci”, “atmosfere”. Dentro questi blocchi cascano sia le modalità con cui gli esperti modellano i flussi d’acqua, sia come la PA fa pianificazione sia come si mobilitano cittadini e volontari dopo un disastro. L’attesa è di individuare comunità di pratiche che intersechino tali blocchi, tradizionalmente separati, se non in conflitto.

In Romagna qualcosa si muove in tal senso e va colto con strumenti di indagine capaci di penetrare mondi sociali disparati: i comitati, le amministrazioni locali, gli esperti, le agenzie, le associazioni professionali …..

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L’iniziativa, partita nel novembre 2024 all’interno dell’insegnamento di sociologia dell’ambiente e del territorio del Corso di Scienze per il paesaggio dell’Università di Padova, diventa “Cantiere Vicenza”, uno spazio di studio permanente su acque e società. Il Cantiere si sta arrichendo di nuove persone e attività di ricerca. Vedasi i bottoni sotto. Gli obiettivi sono un seminario di aggiornamento nel novembre 2025 sempre a Vicenza, la valorizzazione interpretativa di iniziative in corso (Contratto di Fiume sul Retrone, progetti Life, ricerca dell’Università di Tolosa sui Pfas….) e un paper su rivista scientifica per il 2026.

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Posto questa bella intervista a Paride Antolini, presidente dei geologi dell’Emilia-Romagna, perché rende bene diversi concetti: non c’è una causa unica della crisi idrica della Romagna, così non serve tanto andare a caccia di capri espiatori (l’istrice di turno o la pulizia dei fiumi), quanto muoversi a più livelli, con tempestiche anch’esse graduate, con interventi puntuali e una reimpostazione degli usi dei suoli esterni alle aste fluviali; tenere assieme tutte queste sfasature non sarà facile, perché la gente è arrabbiata o stanca e le istituzioni soverchiate dalla grandezza del compito. Epperò, non bisogna mollare, continuare a studiare soluzioni, dialogare su piani razionali, aver fiducia nel futuro. Per questo ultimo scopo prendo una immagine dal logo di un seminario intitolato ‘Acque: ponte del futuro‘.

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E’ uscito a fine maggio 2024 il PNIISSI che raccoglie 521 interventi ammissibili per una spesa di quasi 12 miliardi di euro. Un documento per il quale urge una valutazione indipendente e sistematica, difficile da farsi perché la lista degli interventi (c’è l’obbligo di trasparenza) richiede uno sforzo di analisi quanti-qualitativa impressionante. Vi sono infatti numerose implicazioni tecniche e contestuali difficili da inquadrare. Un primo sforzo in questo senso deriva dalla “Deliberazione” del Collegio del Controllo Concomitante della Corte dei Conti che fa alcune cose utilissime: ricostruzione degli antecedenti legislativi, individuazione dei criteri di analisi e dell’iter amministrativo, prima classificazione per tipo di intervento incrociato con le macroaree dell’Italia. Molte cose sono da capire meglio e seguire nella loro sperabile realizzazione. Quello che colpisce nella elaborazione del PNIISSI è la modalità di costituzione: la valutazione di 562 proposte progettuali giunte da ATO, utility dell’acqua e consorzi di bonifica; quasi tutte le proposte sono state accettate, come a dire il Piano assomiglia ad un enorme processo bottom-up con una regia centrale (governo nazionale, nella fattispecie il MIT e la Cabina di Regia) volutamente debole (semplificazione della governance), relegata a procacciatrice di fondi …. Il governo dell’acqua italiano somiglia così ad un sistema federale sui generis nel quale emergono potenti corporazioni come le multiutility e i consorzi di bonifica.