un’esperienza davvero stimolante nel retrobottega di Cerea. Il fiume Menago è tanto piccolo quanto ricco di spunti idrosociali
Poco a valle dell’area visitata con il LabVillage esiste un’area umida ricreata artificialmente, sempre nel bacino del Menago. La foto è stata presa da https://it.wikipedia.org/wiki/Parco_Le_Vallette
Parte una nuova ricerca che ricalca grosso modo il percorso di ‘Fiumi e città. Un amore a distanza‘: federazione di gruppi di ricerca locale che condivono finalità, linee guida e ambito di indagine. L’obiettivo è cogliere ideali, convincimenti e pratiche relative all’uso di bacini artificiali e delle loro reti a monte e a valle. Il framework parte dall’economia morale, che ha un impianto prevalentemente culturale e cognitivo, per integrarla poi con variabili di tipo territoriale e organizzativo. Si comincerà con grandi dighe italiane per poi allargarsi alla loro storia e alla loro gestione, non solo interna, ma relativa anche ai fiumi o canali di adduzione a monte e alle reti di distribuzione a valle.
Diversi invasi sono stati concepiti in parallelo alla bonifica di terreni paludiosi. Una tendenza plurisecolare ora ad un punto di svolta a causa del cambiamento climatico
Le ragioni della ricerca
Cambiamento climatico, impostazioni idroesigenti di agricoltura e industria, cattiva gestione degli impianti stanno producendo crisi idriche, rispetto alle quali le soluzioni sono contestate, molto costose per le casse pubbliche e affette da lock-ins. Servono quindi informazioni sul contesto sociale in cui operano queste infrastrutture idriche, integrando schemi e modelli delle scienze idrauliche e ingegneristiche
I casi di studio
Saranno 5-6, concentrati soprattutto nel Sud Italia. Il fulcro sarà un invaso, ma poi si dovrà considerare l’intero bacino su cui grava. La metodologia di ricerca sarà scelta da ciascun gruppo di lavoro. I riferimenti metodologici di un’economia morale dell’acqua sono l’analisi dei valori e delle azioni che hanno portato alla costruzione dell’invaso, prima, e alla sua gestione, poi. In tal senso la sociologia storica, l’analisi storico-comparativa, lo studio di caso saranno i principali riferimenti.
Le ipotesi di ricerca
1) dighe e relativi schemi irrigui e impianti idroelettrici sono forme di colonialismo delle aree rurali periferiche o interne; 2) dighe e sistemi irrigui come «economia morale del riscatto» del Sud assetato e bistrattato da potentati interni ed esterni; 3) L’economia morale di invasi e relative reti idriche è fondata su un sapere ingegneristico, focalizzato sulle singole «opere infrastrutturali» e poco sulle loro interazioni con l’ambiente fisico e sociale
La ricerca verrà presentata al XV Convegno di Sociologia dell’Ambiente (8 – 10 settembre 2025, Università degli Studi di Torino – Deep Transition? Guerre, conflitti e trasformazioni socio-ecologiche). Qui sotto il titolo e l’abstract approvato che sviluppa le ipotesi di ricerca di cui sopra:
Tre ipotesi di ricerca per una transizione idrica ‘dolce’ negli invasi dell’Italia rurale
proponenti: Giorgio Osti, Università di Padova e Nicola Stocco, Università di Padova
Parole chiave: invasi, reti, colonialismo, irrigazione, missione idraulica
La presentazione riguarda un progetto di ricerca denominato EMIRI-Economia Morale degli Invasi e loro Reti Idriche, appena avviata e in cerca di Autori che vogliano federarsi al progetto, individuando un invaso o schema idrico su cui focalizzare la propria indagine. Il frame di fondo è l’economia morale dell’acqua, ricavato dal lavoro di Beresford, et al. (2023). Moral economies for water, WIREs Water, 10(2) e integrato con dimensioni socio-spaziali. A fronte della crisi idrica, dovuta al cambiamento climatico, c’è da capire quali risorse ideali (o morali) siano state mobilitate nella costruzione di invasi artificiali, prima, e di prassi gestionali, dopo. Tre ipotesi di ricerca:
1) dighe e relativi schemi irrigui e impianti idroelettrici sono forme di colonialismo delle aree rurali periferiche o interne; la loro costruzione ha indotto uno sviluppo agricolo idroesigente, lontano dalle tradizioni locali e dalle capacità di sopportazione degli ecosistemi. La funzione idroelettrica, laddove abbinata all’invaso, ha accentuato le pulsioni centralistiche del modello coloniale; Bernal, V. Colonial Moral Economy and the Discipline of Development: The Gezira Scheme and ‘Modern’ Sudan, Cultural Anthropology, 12(4), 1997; Zeynep et al. Development through design, Geoforum, 114, 2020;
2) dighe e sistemi irrigui come «economia morale del riscatto» del Sud assetato e bistrattato da potentati interni ed esterni; diga di Jato come modello. È un’economia morale però che non ha elaborato, legittimato e praticato a posteriori un equo e solido sistema di regolazione dell’acqua, creando un fallimento dello Stato o della governance o ancora del Terzo settore, inteso come forma di autoregolazione della comunità locale; Barbera, F., Rees Jones, I. (2023). The Moral Economy of Failure. Sociologica, 17(3), 129–144.
3) L’economia morale di invasi e relative reti idriche è fondata su un sapere ingegneristico, focalizzato sulle singole «opere infrastrutturali» e poco sulle loro interazioni con l’ambiente fisico e sociale (è nota come hydraulic bureaucracy o hydraulic mission); ciò ha impedito di prevedere e prevenire interrimento, malfunzionamenti, furti d’acqua, mancati collaudi e estraneità dei fruitori locali ai saperi e ai sistemi di gestione idrotecnici; Nabavi Ehsan, Who Speaks for Water in Times of Crisis? A Case for Co-production of Engineering and Governance, Frontiers in Communication, 7, 2022.
Queste ipotesi rimandano a paradigmi diversi e sono quindi in lieve competizione. La loro composizione o la scelta di una di queste dipenderà dal caso di studio e dalle assiologie di Autrici e Autori. L’idea è di privilegiare il Sud Italia, data la maggiore rilevanza della crisi idrica, ma casi verranno individuati in tutto il territorio nazionale, contrassegnato dalla presenza di oltre 500 grandi dighe. La scala nazionale si presta bene sia perché vi è una regolazione pubblica a quel livello (es. i collaudi) sia perché vi sono tensioni interregionali e intercomunali sulla fruizione dell’acqua degli invasi che mettono a dura prova l’ideale della sussidiarietà idrica.
Dal seminario del 16 maggio 2024 al Campus di Forlì dell’Università di Bologna è nata l’idea di fare una ricerca idrosociale sulle azioni civiche che si sono sviluppate dopo le alluvioni che hanno colpito tutta la Romagna e alcune località dell’Emilia, in primis quartieri di Bologna. Sotto è riportata una bozza di Protocollo di ricerca.
Retroterra della ricerca: a) le acque interne sono fonte essenziale di benessere e bellezza (vedasi foto), cui dare maggiore spazio nei territori per la necessaria salvaguardia, b) la protesta, soprattutto dei tanti comitati può evolvere verso nuove socializzazioni e pratiche idriche oltre la sindrome nimby, c) tali innovazioni idrosociali sono il frutto del coordinamento fra attivismo civico, riformulazione dei modelli di sicurezza idraulica, redistribuzione di risorse mobili (fondi) e immobili, a partire da terreni cosiddetti esondabili.
Per queste ragioni si pensa che il perno della ricerca debbano essere delle comunità di pratiche idriche nelle quali vi sia una certa democrazia intesa come tendenziale pari dignità di saperi, ruoli e prestigio istituzionale di chi partecipa. Inoltre, l’accento sulle pratiche indirizza la ricerca su ‘blocchi’ relativamente coerenti di azioni, ambienti, norme, “canovacci”, “atmosfere”. Dentro questi blocchi cascano sia le modalità con cui gli esperti modellano i flussi d’acqua, sia come la PA fa pianificazione sia come si mobilitano cittadini e volontari dopo un disastro. L’attesa è di individuare comunità di pratiche che intersechino tali blocchi, tradizionalmente separati, se non in conflitto.
In Romagna qualcosa si muove in tal senso e va colto con strumenti di indagine capaci di penetrare mondi sociali disparati: i comitati, le amministrazioni locali, gli esperti, le agenzie, le associazioni professionali …..
La ricerca ‘Paludi da socializzare’ è stata preceduta da un cantiere ‘VIcenza-acque’ svolto con un gruppo di volontari ambientali della provincia sempre nell’ambito del corso di Sociologia dell’Ambiente e del Territorio della LM Scienze per Paesaggio-Unipd (vedasi sotto i materiali). Dopo tale fase di ascolto si sono individuate le aree umide come luoghi reali e potenziali per una nuova socializzazione alle acque, luoghi ibridi capaci di mobilitare e creare coesione sociale. Questa è la scomessa della ricerca. La zona prescelta per la ricerca è il basso vicentino e le aree contermini che includono anche comuni della provincia di Verona e Padova.
Fiumi e reti idriche vicentine: interferenze sociali e chance di benessere
L’iniziativa, partita nel novembre 2024 all’interno dell’insegnamento di sociologia dell’ambiente e del territorio del Corso di Scienze per il paesaggio dell’Università di Padova, diventa “Cantiere Vicenza”, uno spazio di studio permanente su acque e società. Il Cantiere si sta arrichendo di nuove persone e attività di ricerca. Vedasi i bottoni sotto. Gli obiettivi sono un seminario di aggiornamento nel novembre 2025 sempre a Vicenza, la valorizzazione interpretativa di iniziative in corso (Contratto di Fiume sul Retrone, progetti Life, ricerca dell’Università di Tolosa sui Pfas….) e un paper su rivista scientifica per il 2026.
Seminario che punta a mettere in luce l’interfaccia acqua-società in provincia di Vicenza, un territorio che si presta bene ad una simile analisi, data la varietà di forme spaziali e di processi di modernizzazione che lo hanno attraversato, con qualche problema di sostenibilità. Per partecipare bisogna iscriversi qui
Posto questa bella intervista a Paride Antolini, presidente dei geologi dell’Emilia-Romagna, perché rende bene diversi concetti: non c’è una causa unica della crisi idrica della Romagna, così non serve tanto andare a caccia di capri espiatori (l’istrice di turno o la pulizia dei fiumi), quanto muoversi a più livelli, con tempestiche anch’esse graduate, con interventi puntuali e una reimpostazione degli usi dei suoli esterni alle aste fluviali; tenere assieme tutte queste sfasature non sarà facile, perché la gente è arrabbiata o stanca e le istituzioni soverchiate dalla grandezza del compito. Epperò, non bisogna mollare, continuare a studiare soluzioni, dialogare su piani razionali, aver fiducia nel futuro. Per questo ultimo scopo prendo una immagine dal logo di un seminario intitolato ‘Acque: ponte del futuro‘.